domenica 20 gennaio 2013

letture di classe, Mario Acquaviva


LETTURE DI CLASSE
GIORGIO BONA, Sangue di tutti noi,
Scritturapura, Asti, 2012, pp. 164, € 15,00.
L’ASSASSINIO DI MARIO ACQUAVIVA
11 luglio 1945, a Casale Monferrato, un killer del PCI di Togliatti 
assassinò Mario Acquaviva, comunista internazionalista.

Tutti i partiti democratici del CLN stesero una pesante coltre di silenzio sull’episodio, rendendosi sodali di un sacrificio cruento che consacrava la Repubblica democratica nata dalla Resistenza.


Con l’assassinio di Mario Acquaviva, il PCI eliminava una forte voce di contrasto al suo progetto di normalizzazione della società italiana post bellica.
Il progetto togliattiano era fondato sull’esigenza di non turbare i delicati equilibri internazionali (la contrapposizione USA-URSS) che, in Italia, si concretizzava in una prassi politica moderata, in nome della conciliazione nazionale, con l’obiettivo della ricostruzione, cui veniva subordinata ogni altra prospettiva di sviluppo sociale e democratico, anche moderatamente riformista. Dopo patti del lavoro, riforme di strutture, compromessi storici e inciucci vari, i frutti marci sono sotto i nostri occhi, La linea politica del PCI era assolutamente retriva (per non dire reazionaria) ed esigeva la drastica eliminazione di ogni voce di dissenso. Durante la Resistenza, il PCI non esitò ad assassinare un altro internazionalista, Fausto Atti, il dissidente Temistocle Vaccarella e probabilmente anche altri. Il socialista di sinistra Lelio Basso si salvò per il rotto della cuffia. Alcuni «sparirono» in seguito a delazioni, che li consegnarono ai nazifascisti.
Per quanto ci risulta, dopo il 25 aprile 1945, l’assassinio politico di marca togliattiana colpì solo Mario Acquaviva, anche se dubbi ci sono sulla morte, all’inizio del 1947, di Aldo Gironda, di Borgo San Martino, in provincia di Alessandria. Nel dopoguerra, il PCI fu in grado di emarginare le voci di dissenso, ricorrendo solo occasionalmente alla violenza e alle calunnie, come negli anni Settanta, quando le agitazioni sociali iniziarono a creargli qualche problema. Per quasi mezzo secolo, il PCI ha disposto di un apparato ramificato nei vari settori delle istituzioni e della società civile che, per molti proletari, costituiva un punto di riferimento per trovare lavoro e per molte altre necessità esistenziali, dalla casa al tempo libero. L’alternativa era la parrocchia o l’emigrazione. Il prezzo da pagare era il conformismo alla linea generale del partito, una medicina amara che spesso fu maldigerita. Le conseguenze furono a volte tragiche, come il suicidio di Francesca Spada, cui Ermanno Rea ha dedicato Mistero napoletano.
Vita e passione di un comunista negli anni della guerra fredda. Ma chissà quanti altri militanti furono costretti alla «morte civile», per la maggior gloria del Partito, della Patria e del Capitale. Costoro chiedono ancora di essere ricordati. Di sicuro, chi ha seminato vento non potrà che raccogliere tempesta.
Non stupisce allora che il sangue di Mario Acquaviva sia riaffiorato nel romanzo di Giorgio Bona. È sangue di tutti noi. Sangue che riemerge nella memoria dei vinti, dei proletari, che dalla Repubblica nata dalla Resistenza hanno avuto solo gli oneri, e non certo gli onori, con l’amarezza di tante speranze deluse.
Giorgio Bona ha scritto un romanzo che è la cronaca di una morte annunciata. Lo stile narrativo è apparentemente intimistico, scandito com’è dal rapporto tra Mario e la moglie Tina. Attorno a loro si dipana la grande storia, vissuta con una passione rivoluzionaria,
tutt’altro che sopita dopo il ventennio fascista e gli orrori della guerra. Filo conduttore è il tentativo di ricostruire un’organizzazione proletaria internazionalista,
cui si contrappone il PCI di Togliatti con una fitta trama di calunnie, di ricatti e violenze. Una trama che semina dissidi e incertezze tra gli stessi comunisti. E Mario è solo, con i suoi dubbi, di fronte a una realtà in precipitosa evoluzione. La narrazione di Bona è pervasa da un tragico senso di solitudine, che pone al centro il ruolo cruciale delle scelte individuali. Scelte
che, in particolari svolti della storia, non possono essere demandate ai «comitati centrali». E ancor meno possono essere rimandate, in attesa di tempi migliori, quando le masse si «riprenderanno»…
DINO ERBA, Milano, gennaio 2013

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