domenica 18 novembre 2012

Miseria del consigliarismo



Miseria del consiliarismo
Echanges, n.141, 2012


Seguendo gli incontri e le pubblicazioni che riceviamo, siamo in molti fra i partecipanti alla rete di Echanges ad aver constatato, da un po’ di tempo, una recrudescenza del vocabolo consigliarismo per qualificarci.
Questo vocabolo, che fa riferimento ai soviet russi e ai Rate tedeschi, copre illusoriamente numerose realtà differenti: i soviet del 1905 e quelli del 1917 in Russia non presentano le stesse caratteristiche; questo movimento dei soviet si distingue a sua volta dal movimento dei consigli dal 1917 al 1919di soldati e operai tedeschi; infine, l’azione dei consigli o dei soviet è molto eterogenea secondo la loro composizione sociale.
Nel 1905 in Russia, tutti i partiti o i sindacati contestatori erano proibiti, la classe operaia fu obbligata a creare le proprie organizzazioni, i soviet. Nel 1917, al contrario, i gruppi politici clandestini avevano penetrato l’ambiente dei lavoratori industriali e dal momento in cui la classe operaia, i soldati e i contadini russi si organizzarono nuovamente in soviet e comitati di fabbrica, i militanti politici si precipitarono per prenderne la testa.
 
La classe operaia russa a quell’epoca era poco numerosa e concentrata in rare zone urbane. Fu diverso nella Germania del 1917. I consigli di soldati, operai e contadini in modo omogeneo sorsero in quasi tutta la Germania. Sono stati unicamente, in successione o simultaneamente, gruppi puntuali di lavoratori, per esempio al momento di uno sciopero, organismi costituiti per la durata che si dotavano dei poteri esecutivi e legislativi, come un partito, o ancora come rappresentanti del proletariato nei confronti dello Stato e del patronato, come un sindacato. In Russia come in Germania, marxisti e anarchici si mischiarono ai consigli. I seguaci del partito che pensavano che la coscienza di classe dovesse costituirsi all’esterno per essere poi impiantata nella classe, in accordo o di forza, si presero gioco di questa auto-organizzazione del proletariato negandogli ogni capacita di esprimere un punto di vista rivoluzionario.
Contrariamente ai leninisti di tutte le sfumature, noi pensiamo, in Echanges, che non è l’organizzazione che prelude alla coscienza, ma è quest’ultima a determinare la forma organizzativa di cui ha bisogno, e che i consigli operai alla fine della prima guerra mondiale sono stati per lo più delle porzioni di classe che hanno portato essi stessi al loro superamento, poiché hanno permesso alla classe operaia di fare gli errori di cui abbiamo tanto bisogno per avanzare piuttosto che obbedire a direttive infallibili di un comitato invisibile di cui la storia delle lotte operaie in tutti i paesi ci insegna i difetti. La teoria, secondo la quale il movimento operaio moderno sarebbe solo il prodotto artificiale di qualche leader si conforma a uno schema stabilito dagli amanti delle lotte regolate e disciplinate che sanno esattamente, spesso da molto tempo, come bisognerebbe agire, non ha avuto corso in seno alla classe operaia tedesca alla fine della prima guerra mondiale.
La classe operaia tedesca si è posta al di là di Lenin e dei suoi compagni di partito che aspiravano a fare la felicità della classe operaia suo malgrado con il successo che conosciamo.
La questione si presenta cosi: l’emancipazione dei lavoratori è affare dei lavoratori stessi o deve essere rimessa a degli specialisti?
Conosciamo il disprezzo di Lenin per gli operai che “non potevano ancora avere la coscienza social-democratica. Avrebbero potuto averla solo dall’esterno”. (Che fare? 1902)
Questo stesso Lenin considerava, è importante sottolinearlo, i dogmi social-democratici, come il grado più alto della coscienza di classe proletaria e il socialismo come dirà poi, come “i soviet più l’elettricità”.
Il passato non torna contrariamente a quanto vuol credere una certa sinistra reazionaria che difende le conquiste sociali, cioè lo status quo, nelle manifestazioni a fianco dei lavoratori e contemporaneamente tenendo un discorso radicale su quello che dovrebbe essere la rivoluzione, difendendo da un lato come dall’altro l’industria e il lavoro forzato. Gli avversari dei consigli operai si rifiutarono di tenere in conto l’azione dei lavoratori contro le loro condizioni di sfruttamento, che cercarono di mascherare sotto il concetto di consigliarismo. Come alla fine degli anni sessanta e agli inizi degli anni settanta, quando alcuni militanti crearono una ideologia “ultra-sinistra” che gli fu facile fustigare poiché era la loro creatura, il consigliarismo riapparve per denigrare l’azione autonoma dei lavoratori risparmiandosi i costi di una argomentazione ragionata su questo tipo di azioni.
Se c’è un consigliarismo, sappiamo che tende a fare apparire il movimento dei consigli e la teoria che ne è nata come una nuova ideologia. Tutti i concetti creati con un suffisso in ismo, suppongono una dottrina. Non nego che certi compagni della nostra redazione si richiamano a volte ad una ideologia, il marxismo, ma se guardiamo da vicino questa professione di fede, vediamo che rivendicano generalmente la sua parte più feconda, l’osservazione dei fatti e la loro analisi, piuttosto che il suo sistema dottrinale, griglia di lettura come alcuni dicono senza vergogna. Noi non siamo, non più che chiunque altro, senza tradizioni, e il movimento dei consigli operai dell’inizio del XX secolo ne costituisce una parte.
Ma non vogliamo nascondere le falle di questo movimento le cui cause sono contemporaneamente geografiche, sociali e storiche e non le sacrificheremo per il feticismo dei consigli operai: furono l’espressione, né più né meno, della coscienza del proletariato e dello sviluppo di questa coscienza di classe tra il 1917 e il 1919.
Né ignoriamo che la coscienza viene fatta indossare all’incosciente e che la logica del processo storico oggettivo si conforma alla soggettività dei suoi protagonisti. In Echanges nessuno è consigliarista.

J-P. V.



echenges.mouvement@laposte.net


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