mercoledì 21 marzo 2012

Quo vadis Crisi? Crisi in Germania


Quo vadis Crisi?
Crisi in Germania

La banda vaga, Germania
http://www.labandavaga.org/quo-vadis-krise

Sembra che della crisi, oggi, in Germania nessuno voglia parlare. Le prestazioni economiche aumentano, la disoccupazione cala e le imprese si lamentano che il maggiore problema è ricevere sufficiente personale formato. Quindi il business rimane quello di sempre? Normali aziende capitaliste?
Nel resto del mondo si assiste invece al fenomeno contrario: gli stessi stati del Nord stanno precipitando ad uno ad uno davanti al crollo finanziario, i programmi di austerità gettano le popolazioni nella miseria e i tassi di occupazione (soprattutto giovanile) al 50% non sono più una rarità.  Come si può spiegare questo sviluppo?


Quando la crisi globale è entrata nella sua fase conseguente a seguito dell'esplosione della bolla immobiliare statunitense, tutto è andato velocissimo. Dove sempre più proprietari immobiliari non sono riusciti a riscuotere il proprio credito sono cresciuti i finanziatori immobiliari, e dove questi hanno saldato il credito immobiliari ai "pacchetti finanziari" e questi sono stati nuovamente rivenduti, hanno tremato tutte quelle imprese che avevano operato con quei prodotti finanziari, cioè l'intera branca finanziaria. Il crollo del sistema finanziario mondiale è stato impedito solo con il salvataggio da parte degli stati, attraverso una enorme quantità di denaro, delle banche, delle assicurazioni ecc. prima del tracollo. La crisi si era però già allargata da molto tempo: siccome le banche non concedevano più credito anche le aziende industriali si sono trovate in difficoltà. In questo modo due delle cosiddette "big three" dell'industria automobilistica americana, e questo è il motivo per cui ciò è così importante, si sono riuscite a salvare, in quanto l'industria automobilistica rimane pur sempre "il settore trainante della capitalismo mondiale" (Beverly Silver), cioè la General Motors e la Chrysler sono sopravvissute solo attraverso una quasi-nazionalizzazione attuata prima del crollo. Solo in quel momento gli stati hanno incominciato a sviluppare programmi comuni internazionali per salvare l'economia prima della rovina, in particolar modo per l'industria automobilistica attraverso "rottamazioni", "cash for clunkers" (soldi per rottami) o altri programmi con simili nomi promozionali. Più di tutti negli USA e in Cina sono state applicate a questo proposito somme gigantesche.
Il salvataggio delle banche e i programmi comuni hanno richiesto davvero tanto alle economie nazionali, e così già nel 2008/2009 stati come l'Islanda, la Lettonia, l'Ungheria e il Pakistan hanno rischiato la bancarotta.
Allo stesso tempo è successo ciò che succede sempre in tempi di crisi: il capitale si rivolge apparentemente verso investimenti sicuri, come l'oro o altre materie comuni. Da qui in poi anche i generi alimentari crollano, facendo diventare il prezzo per l'alimentazione esorbitante  con l'inizio della crisi globale. Questo ha portato a un "disordine alimentare" in numerose regioni del mondo, con centinaia di morti, come si può vedere nell proteste in Egitto, Tunisia e Yemen , che aveva già dato segnale della prossima "Arabellione" del 2011.
Se l'immissione di una gigantesca quantità di denaro attraverso gli stati è riuscita a nascondere l'imminente crollo del sistema capitalista mondiale, pure il problema è stato naturalmente solo rimandato nel tempo. Sempre più spesso gli stati finiscono in difficoltà finanziaria a seguito del salvataggio di banche, e in generale del salvataggio di aziende, dei programmi comuni e della crisi economica. Questo riguarda col tempo non più solo i paesi della periferia ma anche il Centro, che viene scosso dall'indebitamento eccessivo e dalla crisi del debito pubblico. Le stesse potenze mondiali come gli USA o il Giappone sono completamente indebitate e si trovano sempre di fronte a una minacciosa bancarotta. Al centro dell'attenzione però adesso c'è l'Eurozona dove, con la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda, la Spagna, l'Italia, il Belgio e a breve probabilmente anche la Francia, uno stato dopo l'altro viene gettato nel vortice.

Germania vincitrice della crisi?

Solo un paese appare, contro tutti, il vincitore della crisi: la Germania. La Repubblica Federale intanto è diventata l'indiscussa forza egemonica all'interno della UE, che può dettare agli altri membri la sua ricetta per la soluzione della crisi, apparentemente senza resistenza. Con ciò gli stessi principi elementari della forma di governo parlamentare vengono gettati a terra. Così il bilancio diventa ciò che si definisce come "diritto regale del parlamento", quindi alla domanda su cosa si dovrebbe fare con le entrate statali, si risponde semplicemente di sottrarle ai cosiddetti "peccatori del debito". Chi finisce sotto lo "scudo di salvataggio" europeo deve mettere in atto in maniera ferra le richieste della UE, perdendo di fatto ogni spazio di azione politica. E a chi è sospettato di non mettere in atto abbastanza energicamente le formule per il risparmio, come la Grecia, già minacciata dai politici tedeschi con l'insediamento di un commissario per il risparmio, vengono spediti i funzionari tedeschi a riscuotere le tasse, situazione quasi neocoloniale. Il capo del cosiddetto Eurogruppo Jean-Claude Junker può quindi dichiarare orgoglioso: "È vero, la sovranità dei Greci è stata massicciamente limitata". Questo fatto si spinge talmente oltre da limitare il potere della stessa Costituzione Europea nel caso in cui caso al parlamento greco fosse impedito dalla pressione dell'Europa di portare avanti negoziati sulle tariffe, poiché ciò potrebbe portare ad alzare i salari. Sono spacciati anche quegli stati, o meglio quelle particolari forze governative, che non riescono a seguire le direttive, come è successo con il governo socialdemocratico del PASOK in Grecia o con il governo Berlusconi in Italia. Al loro posto vengono insediati dei cosiddetti governi tecnici, che prendono il posto della politica solo sulla base di "obiettivi (economico) scientifici".
Come mai è stato possibile che la Germania uscisse dalla crisi apparentemente illesa, riuscendo anzi ad aumentare così tanto il suo potere politico?
Per alcuni, la Germania trae profitto da quanto più è forte la forza economica dell'Unione, soprattutto dalla moneta comune. L'Euro è valutato molto meno rispetto al marco tedesco, fatto che porta un'immenso vantaggio alla Germani nella libera concorrenza. Micheal Burda, professore di economia alla Humboldt-Universität di Berlino, calcola che se il marco fosse reintrodotto, ciò comporterebbe una rivalutazione "nel giro di pochi mesi del 50%". Significherebbe che le esportazione tedesche sarebbero più care del 50%. Si possono immaginare le conseguenze, e quindi quale sia il vantaggio dell'Euro per l'industria tedesca.
Per altri, anche la Germania ha i suoi programmi di riduzione del welfare, che impone agli altri stati sotto la minaccia della bancarotta e contro le massicce resistenze delle popolazioni. Con la cosiddetta Agenda 2010 è stata imposta dal governo SPD-Verdi Schröder/Fischer una politica di impoverimento nei confronti degli impiegati pubblici senza precedenti nella storia della Repubblica Federale, e una altrettanto senza precedenti di ridistribuzione a favore dell'economia e dei ricchi. La Germania nel frattempo ha sviluppato il più grande settore di bassi salari in Europa, e di condizioni occupazionali che prima venivano definite come "atipiche", come il lavoro a contratto; ora l'occupazione a tempo determinato è diventato il rapporto di lavoro tipico. Con questo vantaggio competitivo, moneta svalutata, salari più bassi in cambio di una maggiore produttività, la Germania è avvantaggia su tutti gli altri stati europei. La crisi di alcuni è al tempo stesso lo sviluppo degli altri.

Quanto ancora potrà funzionare?

Quando la maggior parte del mondo affonda nella crisi, anche i signori dell'export possono smerciare meno i loro beni. E anche per i paesi vincitori rimane il pericolo, come forse per l'enorme bolla immobiliare in Cina, della possibilità che il mondo venga trascinato nel baratro.
Diventa inoltre sempre più alto il rischio del crollo del sistema finanziario globale: già nel dicembre 2011 le maggiori banche d'emissione del mondo hanno dovuto salvare il sistema finanziario globale un attimo prima del collasso con un'azione senza precedenti di somme esorbitanti. I lanci di agenzia dissero allora che le le banche centrali avrebbero inondato il mondo con il denaro. Il sistema capitalistico mondiale sta sempre in equilibrio sul precipizio. E cosa fa la classe, che non solo avrebbe potuto gettare il capitalismo dentro questo precipizio, ma che avrebbe anche potuto conquistare una vita migliore per tutta l'umanità?
Da una parte ci sono dei segni incoraggianti. Nel mondo arabo si arriva a insurrezioni di massa e in tutto il mondo gli uomini protestano contro le conseguenze della crisi, o contro i concreti pacchetti di austerità, o contro il potere degli istituti finanziari, o per una "democrazia reale".
D'altra parte però la primavera araba è crollata sotto i dittatori. Momentaneamente là c'è la prospettiva, in questo momento non proprio rosea, che la rivoluzione venga schiacciata fra i poteri dei vecchi regime, maciullata da una parte dai militari egiziani, e dall'altra dai controrivoluzionari, in primis le forze islamiche .
Le guerre difensive contro la politica di impoverimento negli stati europei in crisi, come la Grecia, il Portogallo, la Spagna ecc. rimangono al contrario ancora troppo spesso nei binari prestabiliti dai sindacati e dai gruppi "di sinistra". E gran parte del cosiddetto "movimento Occupy" confonde ancora una volta Wall Street con il capitalismo e dritto così si arriva su un terreno pericoloso. E anche le richieste dei cosiddetti "Indignati" di una democrazia più reale rimangono per lo più nella speranza di una politica migliore piuttosto che nella rivendicazione della sua soppressione.

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