martedì 3 gennaio 2012

Il Capitalismo come corpo marcescente

Il Capitalismo come corpo marcescente

Antonio Pagliarone

Ho letto l’articolo di Antonio Carlo “Capitalismo 2011: Decomposizione in atto” che intende fotografare le condizioni sociali ed economiche di un capitalismo che ormai sta subendo un inarrestabile declino verso una morte certa. Innanzitutto occorre sottolineare che il lavoro dipinge un quadro meticoloso delle condizioni sociali determinate da una crisi che non ha sbocchi. In effetti il declino generalizzato dei salari e della occupazione accompagnati da tassi di crescita infinitesimali dell’economia presa nel suo complesso vengono peggiorati da politiche di intervento indirizzate a peggiorare ulteriormente lo stato comatoso in cui vivono i lavoratori di tutto il mondo. 

Carlo rende in maniera chiara l’idea che il sistema politico si trova nella impossibilità di invertire la rotta anzi sembra essere letteralmente inebetito nel proporre soluzioni che a loro volta peggiorano il problema. In realtà questa situazione imbarazzante, tra Scilla e Cariddi, che vivono i governi Antonio Carlo ce la mostra ma non la giustifica gran che. Egli fa riferimento ad una sorta di cupola costituita dalle grandi imprese multinazionali associate alla Finanza (non si capisce come sia materializzata) che condizionerebbe in maniera asfissiante i governi dei paesi più industrializzati che ormai nei loro simposi dei G20 non fanno altro che blaterare di intenti, qua e là rispettati, senz peraòtrp riuscire a risolvere alcunché. Carlo scrive:

"Adesso, dunque, esiste un potere privato sopranazionale che ridicolizza il potere statale senza sostituirlo ma paralizzandolo: la finanza mondiale e le IM fanno quello che ritengono più opportuno e ricattano gli Stati come abbiamo visto, per cui chi fa una politica sgradita è letteralmente messo con le spalle al muro e questo avviene anche in USA dove Obama ha dovuto rapidamente rinfoderare le moderatissime velleità di riforma"

E’ vero ma ciò che stupisce è che questa strana cupola, questo grande fratello, a sua volta sta mandando in malora il piatto dove mangia. Non ha senso. Egli dovrebbe sapere che le grandi corporation soffrono anche loro di un declino di profittabilità e sono conciate come tutte le imprese dei paesi OCSE.
 In realtà ciò che Carlo non ci spiega in maniera soddisfacente è l’origine di questa crisi, da che cosa sarebbe causata? In particolare mi riferisco al capitolo intitolato La crisi del ’29 e quella attuale. Una comparazione. Innanzitutto Carlo ci propone la solita tesi della crisi da sovrapproduzione, una condizione nella quale le merci restano invendute per il declino del potere d’acquisto dei salari (non si capisce perché i salari reali nel frattempo siano declinati) mentre afferma , giustamente, che il livello dei consumi è stato mantenuto grazie all’indebitamento. Allora a me sembra che ci sia una incongruenza…E’ vero che il grado di utilizzo della capacità produttiva è declinato negli ultimi decenni e con essa gli investimenti in capitale fisso (addirittura assistiamo ad un grado crescente dell’invecchiamento dei macchinari) Ma tutto ciò perché è avvenuto? Carlo afferma che la ricchezza prodotta non essendo assorbita dagli investimenti rifluisce verso la finanza e si ferma qui relegando in una nota il riferimento a contratti futures sulle materie prime. Egli non fa alcun riferimento al meccanismo di lungo periodo che ha caratterizzato la trasformazione dell’economia globale verso la finanza speculativa con tutte le sue sfaccettature. Ma ciò non è grave poiché non è obbligatorio conoscere tutte le finezze della dinamica speculativa. Ciò che invece è grave è il mancato riferimento all’andamento del saggio del profitto, causa maggiore che ha determinato la deviazione verso la finanza speculativa. Eppure il declino di lungo periodo del tasso del profitto è stato studiato moltissimo dagli osservatori marxisti nei decenni scorsi ed anche in Italia, purtroppo in questo paese tale approccio alla analisi marxiana è stato sempre disatteso a favore delle teorie regolazioniste tipiche della sinistra di tutte le orientazioni.
Una seconda  considerazione che mi viene spontanea è la seguente: poiché Antonio Carlo, facendo riferimento alla crisi del 29-33, sottolinea che dopo la stretta dell’amministrazione Hoover “con Roosevelt , invece, trionfò la politica del “deficit spending” e il debito crebbe anche se il PIL era in ripresa, raggiungendo il 42% del PIL nel 1940 contro il 16% del 1929 (da 17 miliardi circa a 43 circa nel periodo considerato)”
 egli in seguito ci informa che attualmente il sostegno statale è rivolto alle banche (piuttosto alle grandi non a quelle piccole) che sono state salvate dal crash finanziario del 2008. Allora io chiedo; Come mai attualmente non è possibile applicare una politica di intervento statale a favore dei consumi ma si è preferito un salvataggio delle banche e della finanza che come definisco io è un mero “keynesismo finanziario”? Perchè si sono salvate le banche? e da Cosa? Carlo non lo spiega proprio perchè la questione della finanza speculativa associata all’indebitamento generalizzato non viene minimamente considerata. In realtà il rapporto debito pil Usa è attualmente il doppio di quello manifestatosi nel 29-33. Inoltre tutto il debito privato e quello delle corporation è stato cartolarizzato e gli asset sul debito creati dalle banche e dalla finanza delle corporation sono stati immessi sul mercato degli investimenti finanziari creando una montagna di carta che in termini di valore eguaglia quasi 12 volte il PIL mondiale. E’ questo che deve far tremare la gente comune e gli osservatori ed è una condizione talmente assurda quella che stiamo vivendo che dà un senso all’avvio di un processo rivoluzionario. Termine che non è più di moda da quando gli imbecilli del 68 si sono trasformati magicamente in moderati visto che oggi è di moda la moderazione ed è più chic essere pacati e responsabili piuttosto che fare i rivoluzionari violenti. Che brutti tempi. E che brutta gente.

Milano 3 Gennaio 2012

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