venerdì 25 novembre 2011

Socialismo del capitale e autonomia operaia

SOCIALISMO DEL CAPITALE E AUTONOMIA OPERAIA
P.Mattick 1939

Dalla critica fin qui condotta si può facilmente dedurre che la futura attività della classe operaia non si potrà chiamare un «nuovo inizio», ma semplicemente un inizio.


Il secolo di lotta di classe testè trascorso
ha permesso l'acquisizione di conoscenze dal valore teoretico inestimabile; ha avuto nobili parole rivoluzionarie contro un capitalismo che pure si proclamava il sistema sociale finale e ha messo in dubbio la convinzione operaia che la situazione di miseria dei lavoratori fosse senza speranza. Ma la sua lotta concreta è rimasta all'interno dei confini capitalistici: è stata, infatti, un'azione che mirava, attraverso la mediazione dei dirigenti, solamente a sostituire dei padroni malleabili a quelli troppo duri A.Pannekoek

La storia passata del movimento operaio deve essere considerata solo come un preludio all'azione futura. E benché questo preludio abbia già anticipato senza dubbio alcuni aspetti della lotta da venire, è rimasto solo un'anticipazione, appunto, e non un riassunto di quello che seguirà.
Il movimento operaio europeo è scomparso cosi facilmente, perché la sua organizzazione non aveva una prospettiva avanzata; i suoi membri sapevano o intuivano che non c'era spazio per loro in un sistema socialista e la loro paura che la società di classe cessasse di esistere era identica a quella degli altri gruppi privilegiati. Capaci di funzionare solo nelle condizioni della società capitalistica, essi vedevano sfavorevolmente la fine del capitali-smo; scegliere fra due modi di morire non ha mai rallegrato nessuno. Il fatto che tali organizzazioni abbiano un senso solo nel capitalismo, spiega anche la loro curiosissima concezione della società socialista. Il loro «socialismo» era ed è un «socialismo» assai somigliante al capitalismo; più che socialisti, essi sono dei capitalisti «progressivi ». Tutte le loro teorie, da quella del revisionista «marxiano» Bernstein a quelle del «socialismo di mer-cato» in voga oggi, non sono altro che metodi per realizzare un migliore adattamento al capitalismo. Non c'è perciò da stupirsi se un sistema di chiaro capitalismo di Stato quale quello esistente in Russia è generalmente considerato da essi come un sistema di socialismo realizzato o di transizione al socialismo. Le critiche contro il sistema russo concernono, infatti, solo la mancanza di democrazia, oppure la cosiddetta malizia o stupidità della sua burocrazia, e non sfiorano neppure la questione che i rapporti di produzione attualmente esistenti in Russia non sono sostanzialmente diversi da quelli degli altri paesi capitalistici, o il fatto che gli operai russi non hanno nessuna voce in capitolo riguardo agli affari economici e produttivi del loro paese e sono soggetti politicamente ed economicamente a condizioni di sfruttamento come gli operai di ogni altra nazione.
Benché la maggior parte degli operai russi non si trovino più a fronteggiare, nella loro lotta per l'esistenza e per migliori condizioni di vita, imprenditori privati, la loro attuale condizione di soggezione dimostra che non è stata realizzata nemmeno la vecchia aspirazione del movimento operaio alla sostituzione dei padroni cattivi con altri più benevoli.
La situazione russa dimostra anche che la scomparsa del capitalista privato non mette fine, da sola, alla forma capitali-stica di sfruttamento che, in sostanza, continua a sussistere anche quando il capitalista privato è stato trasformato o sostituito da rappresentanti della Stato. In Russia continuano a sussistere la separazione degli operai dai mezzi di produzione e, con essa, il dominio di classe. Con l'aggiunta di un apparato di sfruttamento altamente centralizzato e senza divergenze all'interno della dire-zione generale; il che rende molto più difficile la lotta degli operai per i loro obiettivi. La Russia si rivela, cosi, nient' altro che il modello di uno sviluppo capitalistico diverso ed espresso con una terminologia nuova. I tentativi fatti per estendere l'auto-sufficienza nazionale russa e imposta con la violenza come in tutti gli altri paesi capitalistici, vengono oggi celebrati come tante tappe della «costruzione del socialismo in un solo paese». L'ottimismo del movimento operaio, però, sembra crescere dopo ogni sconfitta subita. Quanto più si approfondisce infatti la differenziazione di classe in Russia, quanto più la classe dirigente riesce, sopprimendo l'opposizione, a rendere più duro il suo sistema di sfruttamento; quanto più la Russia partecipa alla concorrenza economica mondiale capitalistica come una potenza imperialistica uguale alle altre; tanto più si ritiene che il socialismo sia stato, in quel paese, pienamente realizzato. Allo stesso modo che il movimento operaio era stato capace di considerare la marcia dell'accumulazione capitalistica una tendenza verso il socialismo, cosi oggi esso celebra questo avanzamento progressivo verso la barbarie come costruzione graduale della nuova società!
Per quanto diviso da molti disaccordi interni su varie questioni, il vecchio movimento ha, riguardo al socialismo, una compatta concezione unitaria. L'astratto «Cartello generale» di Hilferding, l'ammirazione di Lenin per il socialismo di guerra e per il servizio postale tedesco, l'eternizzazione operata da Kautsky dell'economia del valore-prezzo-denaro (mirante a rendere co-sciente ciò che nel capitalismo viene compiuto ciecamente dalle leggi automatiche del mercato), il comunismo di guerra di Trockij -contemplante alcuni meccanismi di domanda e offerta- e l'economia istituzionale di Stalin: tutte queste concezioni hanno, come base comune, l'accettazione della permanenza del sistema produttivo attuale e non fanno altro che riflettere dei processi attualmente presenti nella società capitalistica. Infatti, un «socialismo» di questo genere viene oggi discusso anche da famosi economisti borghesi come Pigou, Hayek, Robbins, Keynes, per citarne solo alcuni, alle cui pubblicazioni i socialisti attingono i loro materiali teorici. Vari economisti borghesi inoltre da Marshall a Mitchell, dai neo-classici ai moderni istituzionalisti si sono occupati del problema di come portare ordine nel disordine del sistema capitalistico, secondo una direzione che è il corrispettivo teoretico della tendenza, presente sul terreno pratico, all'allargamento dell'intervento dello Stato nella società concorrenziale. Processo questo, che sta alla base dell'afferma-zione del «New Deal », del «Nazional-socialismo» e del «Bolscevismo», i vari nomi che designano i differenti gradi e le specificità del processo di centralizzazione e di concentrazione del sistema capitalistico.
E ormai quasi diventato un luogo comune descrivere le incoerenze del movimento operaio come una drammatica contraddizione tra mezzi e fini. Eppure una tale incoerenza non esiste affatto. Il «socialismo» non è mai stato il « fine» del vecchio movimento operaio ma, piuttosto, un semplice termine di copertura per un obiettivo completamente diverso: la conquista, cioè, del potere politico come strumento per la partecipazione al sur-plus creato in una società basata sulla divisione tra classi dominanti e classi dominate. Questo era il fine che, a sua volta, ha determinato i mezzi.
La questione dei mezzi e dei fini, in realtà, deriva dalla separazione che, in una società divisa in classi, esiste tra realtà e ideologia, ed è quindi artificiosa nella misura in cui non può essere risolta senza l'eliminazione degli attuali rapporti di classe. Non solo: essa è inoltre anche priva di senso, perché esiste solo nella teoria e non nella realtà effettuale. Di fatto, le azioni delle classi e dei gruppi si possono sempre spiegare sulla base dei rapporti di produzione esistenti nella società. E quando le azioni non, corrispondono ai fini proclamati, significa che esse non volevano raggiungere veramente quei fini, i quali invece riflettono o una insoddisfazione incapace di tradursi in azione concreta, o il desiderio di nascondere i fini reali Nessuna realtà di classe, infatti, può agire in maniera sbagliata, in una maniera cioè, che non corrisponda alle forze sociali determinanti, nonostante abbia infinite possibilità di pensare in maniera sbagliata. Nel contesto della produzione sociale capitalistica, ogni classe dipende dall'altra. Il loro antagonismo deriva proprio dalla loro identità d'interessi. Finché questa società esisterà, non ci sarà alcuna possibilità di scelta nell'azione, e solo al di fuori dei suoi confini sarà possibile coordinare coscientemente mezzi e fini e trovare una vera unità tra teoria e pratica.
Nella società capitalistica la contraddizione tra mezzi e fini è solo apparente e, in realtà, serve solo a coprire una pratica concreta non del tutto disarmonica con quello che si propone. Per eliminare l'apparente incoerenza basta scoprire qual è il fine reale che sta dietro a quello ideologico. Per fare un esempio pratico: se uno crede che i sindacati considerano lo sciopero come un mezzo per ridurre i profitti ed innalzare i salari, sarà sorpreso di scoprire che essi, quanto più potenti erano e quanto più necessari si ponevano gli aumenti salariali, tanto più riluttanti si sono mostrati ad usare lo strumento delle sciopero per il raggiungimento dei loro obiettivi, ripiegando, invece, su mezzi meno appropriati ai fini che si proponevano, come, ad esempio, l'arbitrato e le trattative governative. La spiegazione di questa apparente contraddizione si trova nel fatto che l'aumento ad ogni costo del salario non è più un fine dei sindacati; essi non sono più, infatti, quello che erano all'inizio; il loro vero fine è, ora, il mantenimento ad ogni costo del loro apparato organizzativo e per questo obiettivo la tattica da loto usata è un mezzo molto più appropriato. Ma rivelare apertamente il cambiamento della loro natura, significherebbe alienarsi gli operai; cosi il fine mera-mente ideologico diventa un mezzo per il raggiungimento del fine reale: ha, cioè, una funzione puramente strumentale nel contesto di una attività realistica e ben integrata.
Ciononostante, il problema dei mezzi e dei fini è stato molto discusso dal vecchio movimento operaio e questo spiega, in parte, perché il vero carattere di questo movimento sia stato compreso cosi in ritardo e perché siano fiorite tante illusioni circa la possibilità di procedere ad una sua riforma. Il tentativo più importante in questo senso fu fatto quando la rivoluzione russa del 1905 ruppe la «riduttiva quotidianità» del lavoro politico che il vecchio movimento operaio portava allora avanti, ponendo nuovamente sul tappeto la questione del cambiamento reale della società. Ma anche in quella sua posizione di apparente rifiuto radicale della società esistente, il vecchio movimento operaio rivelò, ancora una volta, il suo innato carattere capitalistico. Appena Lenin si applicò, infatti, alla soluzione del problema del potere, ritornò immediatamente nel campo dei rivoluzionari borghesi. E questo non solo per l'arretratezza della Russia, ma anche per tutto lo sviluppo teorico del socialismo occidentale, che non era approdato a niente più che ad un'ulteriore esaltazione del carattere borghese ereditato dalle prime rivoluzioni. La natura capitalistica del movimento operaio era, inoltre, confermata dalla sua teoria economica che, sulla scia della tendenza predominante fra gli economisti borghesi, concepiva sempre più i problemi della società come problemi di distribuzione, cioè di mercato. Persino l'attacco rivoluzionario contro i «revisionisti », che si trova nell'Accumulazione del Capitale di Rosa Luxemburg rimane sul piano stabilito dagli antagonisti. Anche Rosa Luxemburg ritrovava, infatti, i limiti della società capitalistica soprattutto nella sua incapacità di realizzare il plusvalore, e ciò per la limitatezza dei mercati. Per cui, anche per lei, era la sfera della circolazione e non quella della produzione che veniva a giocare il ruolo fondamentale e determinante per la vita o la morte del capitalismo.
Comunque, dalla sinistra pre-bellica (che comprendeva la Luxemburg, Liebknecht, Pannekoek e Gorter), insieme alle lotte concrete degli operai e, cioè, agli scioperi di massa scoppiati sia nell'Ovest che nell'Est, scaturì durante e immediatamente dopo la guerra un movimento organizzato in gruppi antiparlamentari e antisindacali che espresse in vari paesi delle direttive veramente anticapitalistiche. Nonostante le incoerenze e le insufficienze, questo movimento riuscì, fin dall'inizio, a formulare delle posizioni di radicale antagonismo nei confronti del capitalismo nella sua totalità, comprendente quindi anche il movimento operaio, che faceva parte anch' esso del sistema. Individuando nella presa del potere da parte di un partito una semplice sostituzione di sfruttatori, esso proclamava la necessità del controllo diretto degli operai in prima persona su tutta quanta la società. I vecchi slogans dell'abolizione delle classi, del sistema e del salario, cessarono di essere mere formulazioni verbali e divennero gli obiettivi immediati delle nuove organizzazioni. Lo scopo che questo movimento si prefiggeva non era la creazione di un nuovo gruppo dirigente della società, delegato ad agire «per conto degli operai » e perciò, con la possibilità di usare questo potere anche contro di loro, ma l'instaurazione di un'organizzazione della produzione che assicurasse agli operai la possibilità di controllarla direttamente.
Questi gruppi' rifiutavano di fare delle distinzioni fra i vari partiti e i vari sindacati, giudicandoli in blocco residui di uno stadio passato di sviluppo, in quanto si limitavano a lotte di gruppo all'interno della società capitalistica. Quello che a loro interessava non era rivitalizzare le vecchie organizzazioni, bensì rendere palese la necessità di organizzazioni dal carattere radicalmente diverso: delle organizzazioni, cioè, di classe, capaci non solo di cambiare la società, ma di organizzare anche la nuova società in maniera tale da rendere impossibile ogni forma di sfruttamento. Ciò che oggi rimane di questo movimento ha trovato una forma organizzativa permanente nei Gruppi dei comunisti consiliari. Essi si considerano marxisti e perciò internazionalisti. Avendo capito che, oggi, tutti i problemi sono problemi internazionali, essi si rifiutano di pensare in termini nazionalistici e dichiarano che tutte le considerazioni specificamente nazionali servono solo alle esigenze della concorrenza capitalistica. Nel loro stesso interesse gli operai devono sviluppare ulteriormente le forze produttive; il che può avvenire solo sulla base di un corretto internazionalismo. Questa posizione, però, non trascura le specificità nazionali e, perciò, non persegue l'obiettivo di elaborare una politica identica per i vari paesi. Ogni gruppo nazionale deve basare la sua attività sull'analisi dell'ambiente in cui si trova ad operare, in maniera del tutto autonoma dagli altri gruppi benché sia auspicato il raggiungimento, ovunque sia possibile, di un coordinamento delle attività mediante lo scambio di esperienze. Questi gruppi sono marxisti perché non hanno ancora elaborato una scienza sociale di livello superiore a quella di Marx, e perché i principi marxiani della ricerca scientifica sono ancora i più realistici, i più capaci di sussumere le nuove esperienze risultanti dal continuo sviluppo capitalistico. Il marxismo non è da loro concepito come un sistema chiuso, ma come il livello concreto di una scienza sociale in via di sviluppo, che può servire come teoria della lotta di classe pratica degli operai. La funzione principale di queste organizzazioni consiste, così, nella critica che non è più diretta, però, solo contro il capitalismo esistente ai tempi di Marx, ma si estende anche a quello sviluppo del capitalismo che ha preso il nome di «socialismo».
La critica e la propaganda sono le sole attività pratiche possibili oggi e la loro sterilità è solo il riflesso di una situazione manifestamente non rivoluzionaria. Il declino del vecchio movimento operaio, comprese le difficoltà e perfino l'impossibilità di portarne avanti uno nuovo, è una prospettiva deplorabile solo dal punto di vista del vecchio movimento operaio; i Gruppi di comunisti consiliari non ne gioiscono, anzi, se ne dispiacciono, ma prendono semplicemente atto della situazione, tenendo per fermo che la scomparsa del movimento operaio organizzato non porta alcun cambiamento nella struttura sociale, e che la lotta di classe deve continuare, operando sulla base delle possibilità date.

Una classe nella quale si concentrano gli interessi rivoluzionari della società, non appena si è sollevata trova immediatamente nella sua stessa situazione il contenuto e il materiale della propria attività rivoluzionaria: abbattere i nemici, prendere misure imposte dalle necessità stesse della lotta. Le conseguenze delle sue proprie azioni la spingono avanti. Essa non inizia indagini teoriche sui suoi compiti. K.Marx

Perfino una società fascista non può impedire alla lotta di classe di andare avanti, e anche gli operai fascisti saranno costretti a cambiare i rapporti di produzione. In ogni caso, oggi non siamo di fronte né ad una società fascista, né ad una società democratica, perché l'una e l'altra non sono che stadi differenti della stessa società; né più avanzati né più arretrati, ma solo differenti, risultando da cambiamenti nelle forze di classe della società capitalistica che hanno la loro origine da una serie di contraddizioni economiche.
I Gruppi di comunisti consiliari sostengono, inoltre, che nelle condizioni attuali non è possibile che avvenga nessun vero cambiamento sociale, se le forze anticapitalistiche non diventano più forti di quelle che sostengono il capitalismo, e che è impossibile organizzare forze anticapitalistiche di tali dimensioni all'interno dei rapporti capitalistici. Dall'analisi della società attuale e dallo studio delle lotte di classe precedenti, essi concludono che l'attività spontanea delle masse scontente creerà, nel corso di ribellioni, le organizzazioni adatte alle circostanze, le sole in grado di mettere fine, irrompendo dai confini delle condizioni sociali, all'attuale assetto sociale. Il problema dell'organizzazione, cosi com'è oggi discusso, viene considerato una questione completamente oziosa, perché le fabbriche, le imprese pubbliche, i posti di ristoro e gli stessi eserciti preparati per la guerra che sta per cominciare, offrono già sufficientemente l'adito alla formazione di attive organizzazioni di massa indistruttibili, qualunque sia il carattere assunto dalla società capitalistica. Come trama organizzativa della nuova società viene proposta l'organizzazione consiliare basata sull'industria e sul processo produttivo, con un tempo di lavoro medio come misura della produzione, della riproduzione e della distribuzione, insieme a tutti i provvedimenti utili ad assicurare l'eguaglianza economica in condizioni di divi-sione del lavoro. Questo tipo di società, si sostiene, sarà in grado di programmare la sua produzione in base ai bisogni e alle esigenze del popolo.
I Gruppi sono approdati, come è già stato detto, alla conclusione che una tale società può funzionare solo attraverso la partecipazione diretta dei lavoratori a tutti i livelli decisionali, e questa concezione del socialismo è irrealizzabile sulla base di una separazione fra operai e organizzatori. I Gruppi non pretendono di agire in nome degli operai, ma si considerano essi stessi membri della classe operaia, i quali hanno avuto, per una ragione o l'altra, la possibilità di constatare che la tendenza sociale attuale procede nel senso del crollo del capitalismo, e in questa direzione cercano di coordinare le concrete attività degli operai. Essi sono coscienti di non essere niente più che gruppi di propaganda, in grado di suggerire linee necessarie di azione, ma incapaci di eseguirle nell’« interesse della classe». Questo la classe deve farlo da sé. I Gruppi tentano di basare interamente la loro azione attuale sui bisogni degli operai, benché essa sia inserita in una prospettiva di lungo periodo. In tutte le occasioni, essi tentano di favorire l'iniziativa e l'azione autonoma degli operai, partecipando quanto più possibile alle azioni operaie di massa, senza un programma autonomo rispetto a quello stesso degli operai, di cui si cerca semplicemente di favorire al massimo la partecipazione diretta a tutte le decisioni. Essi dimostrano, con le parole e coi fatti, che il movimento operaio deve pensare solo ai propri interessi; che la società nella sua totalità non è una faccenda che li riguardi, dal momento che non esisterà mai una società davvero complessiva finché non saranno abolite le classi; che gli operai devono attaccare, e attaccano davvero le altre classi e tutti gli altri interessi presenti nella società basata sullo sfruttamento, solo quando essi tengono conto soltanto dei loro interessi specifici più immediati; che gli operai non possono sbagliare Finché fanno ciò che è loro utile economicamente e socialmente; che essi, infine, devono cominciare a risolvere i loro problemi oggi, preparandosi in questo modo a risolvere i problemi, ancora più urgenti, del domani.

1 commento:

  1. Grazie è sempre un grande piacere rileggere questi titani della critica libertaria marxista.

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